Il mio viaggio nelle tradizioni culinarie dell’isola di Zanzibar è stato totale. Ho avuto la fortuna e la possibilità di assaporare la cucina locale nella sua purezza, evitando gran parte del cibo turistico. E ci tengo a precisare che non è stata sempre una scelta facile: i sistemi di conservazione e cottura e la potabilità dell’acqua non sempre agevolano il processo di avvicinamento alla tavola zanzibarina. Perciò prima di partire bisogna munirsi di una discreta dose di incoscienza e fermenti lattici, e nel caso non bastassero il binomi successivo sarà inevitabilmente gabinetto e carta igienica. Nonostante ciò, una volta superato lo scoglio delle abitudini igenico-sanitarie e metabolizzato il trauma da irreperibilità assoluta di caffè il percorso enogastronomico africano si presenta come una meravigliosa discesa tappezzata di pesce fresco, se non addirittura vivo, e frutta tropicale: cascate di cocco, mango, papaia, passion fruit e Mille Sfumature di Bananas.

Nella classifica delle cose che non potrò mai scordare di questo trepidante percorso mangereccio in prima posizione sia staglia la pingue cena a casa di Suma, gestore del Why ONG residence in cui eravamo sistemati. Grazie alla generosa ospitalità della sua famiglia, noi occidentali profani e devoti al Burger King, potemmo assistere e partecipare alla preparazione di un autentico e squisito pasto tradizionale tanzaniano. Ricordo che ci sistemammo in un angolo esterno della casa adibito alla preparazione del cibo, che, se la memoria non mi inganna, si articolava più o meno così: un grande tappeto in corda colorato, un braciere ardente, due pentole, alcune ciotole, un coltello, una bacinella con dell’acqua e l’aggeggio per grattugiare il cocco. Quest’ultimo fondamentale, signori, perché in barba a piastre a induzione, frullatori, forni o robot da cucina l’unico vero must di una cucina a Zanzibar è il Cocco in ogni sua declinazione: cocco fresco, latte di cocco, cocco grattugiato, farina di cocco. Sulla scia del coriandolo per i marocchini. Capii immediatamente che la preparazione dei pasti sarebbe sempre stata una parte importante della giornata di queste persone. Ci si dedicavano spontaneamente, in famiglia. Fece venir voglia di cucinare anche a me, figlia isterica della generazione di Just Eat. Capii anche che non c’è FoodPorn che tenga quando un piatto viene cucinato con passione, amore, fantasia, tradizione, fatica, orgoglio, affetto, premura. Vidi tutto questo. Anzi, l’ho sentii. In preda all’entusiasmo mangiai perfino del Riso Pilau, nonostante la cannella non rientri esattamente nella top ten delle mie spezie preferite. Quella sera imparai ad apprezzare sapori complessi, lontani dalle mie abitudini alimentari e per non smentirmi mi sfondai lo stomaco di Chapati, una sorta di piadina molto untuosa che accompagna diverse pietanze e che si prepara con infinita pazienza e abbondante olio.

Un secondo momento che ricordo vividamente della mia gita in relazione al cibo è la visita al Daragiani Market di Stone Town. Credo, infatti, che le bancarelle colme di vegetali siano il mio soggetto fotografico preferito in quanto gli ortaggi sono incontrovertibilmente fotogenici, quasi quanto le giraffe. Quando giungemmo in loco, fiondandomi visivamente sugli innumerevoli e seducenti chiringuitos adibiti alla vendita di ogni ben di Dio, non potei non notare la spaventosa varietà di banane di cui ignoravo l’esistenza. La situazione peggiorò ulteriormente quando mi accorsi dell’innumerevole quantitativo di spezie esposte: zafferano, chiodo di garofano, cannella, ginger, pepe, vaniglia, noce moscata, curcuma, e molte altre.
“Ma che è tutta sta roba?” mi chiesi.
“Semplice”, rispose la mia coscienza “l’innegabile evidenze delle tue incolmabili lacune culturali”.
CAT. Simpatia
Successivamente, uscendo dalla caleidoscopica e fornitissima zona “vegetariana” ci addentrammo nel vivo del mercato zanzibarino. Definirei questa zona un territorio non adatto ai deboli di stomaco o alle persone facilmente impressionabili. Diciamo che, in quanto a norme igieniche, i nostri cugini tanzaniani avrebbero bisogno di una rinfrescata sulla parte riguardante la santificazione di ambienti e utensili e sui metodi di conservazione della carne e del pesce. Nel concreto, penso che qualcuno dovrebbe dirgli che le mante non sono una buona alternativa allo zerbino d’ingresso e che i polpi appesi non potranno mai essere una nuova fragranza di Arbre Magique. Infatti, entrando nella zona del mercato adibito allo smercio del pesce ho realmente compreso il significato dell’articolo pungente in correlazione al sostantivo odore.

Concludendo, posso dire che ripensando ai momenti passati “a tavola” durante questa mia scampagnata africana, vorrò portare con me diverse sensazioni: i profumi, quelli inebrianti delle spezie e della frutta esotica e quelli inannusabili (licenza poetica), i colori dei proventi della terra e del mare, la freschezza delle materie prime a centimetro zero e l’invidiabile e primordiale connessione fra uomo, territorio e cibo, che noi Babbani globalizzati spesso scordiamo. In poche parole la cucina dell’essenziale.
Cocco e Mangiato!