Il titolo della mia nuova rubrica, che vi delizierà per alcune puntate, mi è stato gentilmente offerto da una squisitissima t-shirt appesa in bella mostra al mercato della città di Essaouira, costa Ovest del Marocco. Terra preziosa, di cui racconterò la mia versione in queste pagine a seguire.
ESSAOUIRA
Primo giorno di ferie.
Noleggio auto.
Partenza.
Da Marrakech.
Direzione Essaouira.
(Ancora non lo so pronunciare in modo decente).
Comunque.
Direzione OCEANO.
Spiaggia, onde, sale sulla pelle.
Piove.
Cazzo.
L’esordio, possiamo dirlo, non dei migliori. Ci aggiungerei anche una rilassante due ore e mezza d’auto passata a schivare scooter, bici, automobili, cani, gatti, persone, cavalli, asini, lama, due marziani e Jimi Hendrix (in realtà non è morto).
Però arriviamo. Arriviamo a Essaouira e c’è il sole. C’è anche il mare. Anzi, l’oceano. Quello atlantico per la precisione. Che potrebbe sembrare la stessa cosa, ma invece no. È più grande l’oceano. È più forte. Le sue onde si infrangono rumorosamente su scogli massicci. Ti rende impotente l’oceano. Lui può. Tu no. Nemmeno se pratichi il KiteSurf.

Insomma c’è l’oceano e al suo fianco il porto. Diverso dai porti a cui sono stata abituata. Più caotico. Più denso. Più blu. Le barche sono innumerevoli. Sia quelle in acqua, pronte a salpare, che quelle a terra, ferme lì ad aspettare di essere dipinte. Di blu e di ogni sua sfumatura. Innumerevoli sono anche le reti, pedissequamente sistemate in ogni dove, strutturalmente impregnate dal mare e dal suo odore. Pungente, a tratti irritante, ma così onesto. Innumerevoli sono anche i gatti, non solo al porto, ovunque, gironzolano, padroni della città, amici di tutti. Creature meravigliose.

Dopo il porto, i gatti e l’oceano, che già basterebbero, ci vuole un po’ di città. La Medina. Che a dirla tutta non credo sia descrivibile a parole. Ci sono troppi odori, colori, suoni e sguardi di cui parlare. A ogni lato si vendono cose. Irriverente è l’artigianato locale, padrone indiscusso di ogni piccola, minuscola via della città. Persone intagliano il legno, alcune lavorano la pasta d’Argan, altre mettono in mostra gioielli oppure i dipinti. Ci sono ceramiche che tolgono il fiato. Poi lampade, tappeti, borse in cuoio e babouche. C’è chi vende il pesce, chi il pane, chi Twix, Bounty e Kinder Bueno (per la gioia di mio fratello). Insomma è come stare al Tiare la domenica pomeriggio.

Ho amato moltissimo i colori e le forme, l’armonia dell’urbanistica marocchina, le luci, la tipicità di piatti, tazzine e posacenere esposti nei bazar del cento, i profumi delle spezie e dei saponi, l’odore del cuoio, l’aroma di menta, le vetrine colme di dolci appuntiti. E ovviamente i gatti. Creature meravigliose.
Se potessi dare un consiglio alla me di ieri le direi di lasciare a casa qualche preconcetto, per abbracciare più serenamente una cultura passionale, colorata e vivida, accogliente, sana. Se potessi dare un consiglio al Marocco di allora gli direi di smettere di coltivare il coriandolo, spezia nefasta rovinatrice (neologismo) di pasti, e di concedersi qualche bicchierino in più. Altrimenti di che scrivo?

Però sulla cucina marocchina ho ancora qualcosa da dirvi.
Nelle prossime puntate!