Spessa e volentieri!

Per la rubrica “insommelier”, le disavventure di un’amante del vino (preparata ma non troppo), oggi vi parlo della mia gitarella al Castello di Spessa.

Grazie alle mie altolocate conoscenze nel settore dell’ospitalità sono riuscita ad infiltrarmi in un’alquanto sorprendente visita al podere e alle cantine dislocate sul luminoso colle caprivese. Confesso senza alcun pudore la mia totale ignoranza sullo stimolantissimo ambiente ricreativo (aggravante: sono originaria di Moraro), che, oltre ad essere centro nevralgico per i golfisti friulani, austriaci, e sloveni, cantina rinomata e lussuoso resort benamato dagli appassionati dell’enogastronomia, c’ha pure una Wine Spa, ovvero un piccolo paradiso all’insegna del Cabernet, in cui avanguardisti esperti del benessere coccolano le stanche membra di turisti, martoriate dalla everyday life, a suon di bagni nel mosto e massaggi ai vinaccioli. Sticazzi, si direbbe in francese.

Durante la visita colpisce subito la cura maniacale degli ambienti che si presentano curati nel minimo dettaglio, mettendo subito in luce la filosofia aziendale che volge a fare, con ciò che madre terra offre, un lavoro di qualificazione e sfruttamento (nel sento più ottimale del termine) del territorio. Un’opera artistica, insomma. La coraggiosa e visionaria scelta di applicare un Golf Club fra svariate ettari di vigneto si rivela intrigante e vincente. Un’attrattiva nell’attrattiva. Qualsiasi appassionato di mazza e palle (no malizia) può apprezzare l’ambiente limitrofo e con un po’ di curiosità avventurarsi alla scoperta delle meraviglie vitivinicole del territorio dell’Isonzo e del Collio. L’azienda vanta infatti due linee di succo d’uva fermentato, la cui coltivazione è dislocata appunto in queste due aree di pertinenza. Ognuna ovviamente con delle caratteristiche inevitabilmente determinate dal torroir, dal lavoro in vigna e dal contributo della cantina, volto senza dubbio ad esprimere al meglio le potenzialità territoriali, nel rispetto pedissequo delle caratteristiche peculiari di ciascun vigneto.

Le Segrete

Durante la degustazione passiamo in rassegne diverse referenze. Io vi farò una semplice classifica di quelle che a me personalmente hanno colpito di più:

  1. Pinot Bianco: capolista indiscusso. Vitigno verso il quale sfoggio diverse lacune conoscitive. Lo assaggio con la precisa idea di sorseggiare un vino morbido e di poco carattere. Sbaglio. Mi sorprende al naso e al palato. Ricco, elegante, persistente. Definirò il mio alto gradimento conferendo il punteggio secchio sulla scala ‘da uno ad un secchio quanto ne avresti bevuto?’
  2. Cabernet Sauvignon. A differenza dei suoi fratelli presenti sul mercato mi colpisce per una leggera componente erbacea, per la quale risulta meno rotondo di quanto non ci si aspetti. Un certo savoir-faire che lo rende intrigante e facile alla beva.
  3. Pinot Grigio. Mi conquista con un attimino di macerazione che dona al vino una punta di color buccia di cipolla. Calcio di rigore assicurato con il cliente austriaco a Grado. E chi non ama i calci di rigore!

Salute!

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